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YesterTest | Yamaha XT600Z Ténéré, la prova della prima vera dakariana

Evoluzione dell'icona XT500, la prima Ténéré sfamò la voglia d'avventura dei motociclisti di tutto il mondo e diventò un successo globale, anche se non arrivò mai a guadagnarsi la vittoria alla Dakar

YesterTest | Yamaha XT600Z Ténéré, la prova della prima vera dakariana

A cura di Andrea Cervone

Quando si parla della Ténéré, oggi modello ritornato in auge grazie ad un'intelligente operazione "nostalgia", forse non tutti sanno che la stirpe delle adventure di Iwata è nata proprio con la Yamaha XT600Z. La moto che portò le qualità della XT500 e della successiva XT550 a vestirsi da dakariana vera, pronta a soddisfare quello che al tempo, nei primi anni '80, sembrava un Risorgimento dell'avventura a due ruote. Una dinastia, quella della XT600Z Ténéré, durata dal 1983 al 1989, ma che ha consegnato questo modello alla Storia.

Pregi e difetti

Con il modello 3AJ - quello in prova - la Ténéré non cambia nei componenti chiave ma viene aggiornata nell'estetica con un nuovo parafango basso, decisamente più stradale, e ottiene per la prima volta una carenatura che si ispira a quella dei modelli utilizzati per le competizioni Dakar dell'epoca. Questo restyling porterà anche alla sostituzione del singolo faro squadrato con lo storico doppio faro che
verrà successivamente ripreso anche dalla Super Ténéré 750. Altra peculiarità di questo modello è il definitivo abbandono dell’avviamento a
pedale e l’introduzione di un ampio serbatoio da 26 litri (contro i 23 del modello precedente). Due caratteristiche che renderanno la nuova XT600z uno degli esemplari più riusciti di moto enduro per attraversare il mondo. Per i più tecnici segnaliamo anche l’introduzione di un nuovo disco freno da 210mm al posteriore, precedentemente esclusiva dei modelli XT 600 non-Ténéré, che va a sostituire il freno a tamburo montato sul modello in produzione fino all’anno prima. Ma non è tutto: con la Ténéré 3AJ gli ingegneri Yamaha hanno dovuto risolvere
alcuni problemi che affliggevano la seconda serie della endurona giapponese: il modello 1VJ è stato prodotto solo per un anno, dal 1986 al 1987, e portava in dote un nuovo motore (lo stesso che ritroveremo nella 3AJ) che soffriva di alcuni difetti di gioventù, in particolare legati ai prigionieri troppo corti e di numero inferiore rispetto al necessario.

I possessori di questo modello lamentavano anche frequenti e insoliti surriscaldamenti che furono risolti con successive revisioni del modello. Ve ne furono tre in appena dodici mesi. Tuttavia solo con gli ultimi modelli di 1VJ, usciti a cavallo con il lancio della 3AJ, i problemi sono stati definitivamente risolti. Ma tornando alla 3AJ, la dotazione di questa Ténéré annovera lo storico monocilindrico da 595cc in grado di esprimere 46 CV a 6.500 giri. Ancora oggi questo motore sorprende per la buona coppia (5 kgm a 5.500 giri) ma chiaramente manca di allungo se confrontato con i monocilindrici moderni di pari cilindrata. Da ciò deriva una velocità di punta dichiarata di 150 km/h. Anche perché alle “alte velocità” - ossia dai 90 in su - le vibrazioni sono davvero tante e non lasciano indifferente il pilota anche dopo poche centinaia di chilometri. Per quanto riguarda il cambio, le marce sono soltanto cinque e i rapporti sono logicamente corti, molto corti. Il reparto sospensioni fa affidamento su una forcella con steli tradizionali da 41 mm e corsa di 255 mm, mentre il forcellone in allumino accoglie un mono Monocross con escursione di 235 millimetri. Sospensioni che rispetto a quelle delle enduro moderne appaiono morbide, forse troppo, in strada ma che invece nei percorsi privi di asfalto permettono ancora un controllo intuitivo del mezzo anche nei tratti più accidentati. Nell’uso meno specialistico, però, le sospensioni contribuiscono a rendere più comoda la posizione in sella. Unico, vero, punto debole di questo modello è l’impianto elettrico: era infatti tradizione viaggiare con un regolatore di tensione di ricambio, ma talvolta anche lo statore (sigh!) poteva giocare dei brutti scherzi. Nessun problema veniva invece riscontrato con il motore, vero elemento portante del successo Ténéré, che anche sulla 3AJ consentiva di superare con agilità la soglia mistica dei 100.000 km. Una moto solida ma semplice, affidabile ma che richiedeva attenzioni. Attenzioni che ancor di più richiede oggi che ha superato il traguardo delle trenta candeline e che trova nostalgici estimatori.

Quanto vale oggi?

Una young-timer che si fa ammirare ma che sa ancora divertire e far sognare quell’atmosfera dakariana anche solo percorrendo la più banale delle strade bianche e che oggi ha valutazioni che vanno dai 6.000 euro (per gli esemplari meglio conservati e delle prime annate) fino ai 2.000 euro.

IL RACCONTO - Il mio ritorno al futuro: da una moderna naked ad una Tenere del 1989

di Andrea Cervone

A parlarvi non è certamente un centauro navigato. La mia storia con le due ruote inizia bene: imparo ad andare in bici in fretta e poi al primo anno di liceo è subito Liberty 50 (un vero must nei primi anni 2000). Poi arriva l’auto e le ruote diventano quattro. Due sono poche, mi dico. L’auto è più stabile ed è anche più veloce; ed è così che la passione per lo scooter viene accantonata, assieme a quel sogno proibito chiamato moto. Parecchi anni più tardi, però, questo desiderio perverso riaffiora. Colpa dei motovlogger che ho iniziato a seguire su YouTube, mi ripeto. Però il danno è ormai fatto. Inizio a cercare, a documentarmi, a capire cosa possa fare al caso mio. Non ho esperienza, non so neanche concretamente guidare una moto, e soprattutto le persone intorno a me non comprendono e ostacolano questo mio desiderio. Quasi ci ripenso, ma alla fine decido di prendere questa benedetta patente A3.

Fila tutto più liscio del previsto, nonostante una Hornet 600 con leve spezzate e senza pedana destra. D’altronde non avevo una moto, dovevo accontentarmi di ciò che mi veniva proposto al momento dell’esame. Neanche il tempo di recuperare l’indispensabile tessera ed ecco che corro in concessionaria (Yamaha) ad acquistare in maniera avventata la mia prima moto. Di lei avevo solo sentito parlare, avevo consultato i dati di vendita e l’avevo vista una volta dal vivo. Non ci ero mai salito in sella e non sapevo cosa aspettarmi. Questa MT-07 fu consegnata appena una settimana dopo l’acquisto. Ero finalmente diventato un motociclista.

Sapete, non è stato facile accettare l’idea di poter essere davvero in grado di guidare una moto. Soprattutto perché le moto mi venivano descritte sempre e soltanto come degli oggetti veloci, pericolosi e che richiedevano abilità di guida notevoli. Il classico ragionamento disfattista e teso ad impedirti di realizzare un tuo sogno. C’erano quasi riusciti. Quasi. Forse anche per questo ho scelto come prima moto una MT-07 nuova e dotata con quella tecnologia di base che mi permetteva di stare tranquillo: l’ABS. Lo vedevo un po’ come una garanzia che sarebbe andato tutto liscio. In due anni ho macinato 23.000 km con i 75 cavalli della MT-07 e mi sono esposto a tutte quelle situazioni tipiche per un motociclista: caldo, freddo, vento, acqua, stanchezza, rilassamento, gioia, paura. Un mix di emozioni che mi ha portato subito a chiedere di più. Dopo 24 mesi ho salutato l’MT-07 e ho dato il benvenuto ad una MT-09 SP che tutt’oggi possiedo e con cui, causa pandemie varie, sono “ancora” verso a 16.000 km.

Quest’anno però, con l’avvicinarsi dell’autunno, ho sentito l’esigenza di uscire da quella comfort zone fatta di emozioni sicure e al loro posto, di elettronica e di regolarità. Ho scelto infatti di sperimentare un concetto di moto drasticamente diverso da quello che ho conosciuto fino ad oggi. Alla mia moto principale, lineare e precisa, ho scelto di affiancare un oggetto mistico di cui avevo solo sentito narrare le gesta. Un accozzaglia di plastiche e metalli che ancora oggi non può lasciare indifferenti. Sono bastati 1500€ per portarsi a casa una anziana (ma peperita) Yamaha XT 600 Z Tenere del 1989. Modello 3AJ, per gli intenditori. La prima con un abbozzo di carenatura e un’impostazione più dakariana che puramente endursitica.

L’uscita dalla comfort zone è stata immediata: abituato a ritirare moto nuove, perfette e quasi profumate, qui la situazione è stata immediatamente diversa. Ruggine, sporcizia, tantissimi pezzi da sostituire e un motore che all’accensione urlava (letteralmente) tutto il suo disprezzo verso quel settimo, sbarbato, proprietario che si accingeva a montare sulla sua groppa. Dopo le prime correzioni estetiche, è stato necessario intervenire su diversi componenti delicati della moto: per fortuna, però, il motore di questa XT è davvero un carro armato e ancora oggi (dopo i suoi primi 2000 km) gira preciso come un orologio. Dopo qualche revisione qui e la, la moto era finalmente pronta per la prima accensione.

“Ma come si accende?”. Vi giuro, me lo sono chiesto. Sono impacciato come pochi, lo so, ma ricordate da dove provengo. Da un Liberty 50 e da due naked moderne che si mettono in moto da sole, quasi. Qua è tutto diverso: cosa sono quei rubinetti a destra e a sinistra del serbatoio? Bisogna tirare l’aria (o aprirla? o è la stessa cosa?) e non vedo accendersi la strumentazione quando giro la chiave. È in folle? Questo si, si riesce a capire. Si accende la “N” verde. Bene, accesa! Bastano i primi due metri per farmi pentire del mio acquisto: “che è sta roba?”, “La guiderò pochissimo...”, “Hai fatto una ca**ata, Andrea!” e poi... SBAM! La moto si spegne. Cosa succede? Mi fermo e si spegne! Cosa sto sbagliando? Curioso ripensarci oggi, ma semplicemente non reggeva il minimo e bisognava alzarlo un po’. Mezzo giro di vite e ora va tutto bene.

L’accelerazione di questo mono da 600cc mi sorprende, spinge ancora forte! La frenata non è granché, ma d’altronde c’è un solo disco all’anteriore, quindi ci sta. Però la moto si intraversa facilmente nelle frenate più decise. Qua il TCS e l’antisaltellamento non ci sono. Inizio a pensare che sia meglio così. È più divertente. Rettilineo: che fai, non provi a tirarla un minimo? Arrivo a 110 con un po’ di fatica e le vibrazioni iniziano ad impossessarsi delle mie braccia. “Assurdo”, mi ripeto. Non pensavo vibrasse così tanto. “È inguidabile”. La porto a casa.

Il giorno dopo la riprendo per delle inutili commissioni. Potevo farle a piedi, in bici, in monopattino. Decido di andare con lei, con questo rottame (direbbe il millennials che è in me) degli anni 90. Inizio ad apprezzare la sua agilità e a stupirmi di quanto, trent’anni dopo, sia ancora moderna. È un euro 0 e si sente, ma c’è qualcosa in quei “profumi” che ha fascino, come il profumo di una donna che ti attraversa la strada di sfuggita e tu la insegui con lo sguardo. Credo di essermi innamorato di una moto più grande di me. Giorno dopo giorno ho iniziato ad apprezzare i suoi difetti e i segni del tempo che porta con se, nella consapevolezza, però, che questo mezzo è stato concepito nell’era d’oro delle due ruote. E si sente. E si vede. Alcuni dettagli sono ancora oggi degni di attenzione, come la sella realizzata in simil pelle di alta qualità e soprattutto comodissima; oppure le sospensioni che nonostante gli anni riescono ancora ad affrontare ogni genere di asperità senza trasferire incertezze o sollecitazioni al pilota.

Questo racconto di una nostalgia dei tempi che furono ve lo fa una persona che non ha vissuto quei tempi, ma che grazie ad una moto come questa Tenere ha iniziato anche a recuperare quel gap storico che mi impediva di apprezzare mezzi più vecchi e, per il mio modo di vedere, “meno sicuri” rispetto a quelli nuovissimi appena sfornati dalle case madri. Guardate, per un millennials abituato a sollevare la sella delle sue precedenti moto con una chiave non è stato semplice scoprire che per la Tenere era invece necessario portarsi dietro un cacciavite e rimuovere due scomodissime viti; altrettanto deludente è stato scoprire che la Tenere è troppo “stretta” per alzarla con il cavalletto che ho utilizzato in questi tre anni con le altre moto. E poi il semi-tassellato: chi se l’aspettava che reggesse così bene? Tra l’altro è storico anche lui: magari non avrà 30 anni, ma 3-4 si. Me ne sono fregato. Un po’ di sterrato e ora sono come nuove. Avevo anche sentito di questa mitologica cassetta degli attrezzi che Yamaha inseriva sotto uno dei fianchetti laterali posteriori. L’ho trovata dietro quello sinistro, ma sfortunatamente era vuota. I precedenti proprietari si sono accaparrati il contenuto. Pazienza, la riempirò con ciò che troverò utile e in più - anche qui, da geek-millenials quale sono - ci ho inserito dentro anche un pratico localizzatore GPS. Non si sa mai, magari qualcun altro potrebbe cedere al fascino della XT.

Con la Tenere mi sono sporcato le mani e ancora me le sporcherò. Sto imparando tanto e mi sono reso conto che questa moto mi sta dando ben più di quanto mi sarei aspettato. Oserei dire che mi stia insegnando più di quanto avrei voluto imparare. Credo sia stato il miglior acquisto motociclistico di questi quasi quattro anni da motociclista. Una moto economica ma carrozzata come questa mi sta anche permettendo di affacciarmi all’enduro leggero in maniera progressiva e divertente. Ricorderò a lungo le parole di un compagno di uscite quando ancora ironizzavo sulla sua vecchia R6 del 2003. “Le moto d’epoca sono così. Più problemi ti danno e più le ami”. In realtà la mia vecchietta non sta dando chissà quali problemi, ma come dicevo mi sta insegnando molto e penso resterà con me a lungo. Le giovani naked potranno andare e venire, ma lei penso sia la mia moto ormai.

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