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Kawasaki MACH III 500 e MACH IV 750: il pelo sullo stomaco!

Due modelli che hanno turbato i sogni di un'intera generazione... scopriamo il perché

Moto - News: Kawasaki MACH III 500 e MACH IV 750: il pelo sullo stomaco!

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Doveva avere, prima di tutto, prestazioni da brivido. Questo l'ordine impartito al team giapponese incaricato di dar vita alla “folgorante” MACH III 500, la bomba di Akashi che sfiorava i 200 km/h. Era il 1969. Per il motore fu scelta l'architettura 3 cilindri in linea... un 2 tempi da quasi 60 cavalli per un peso complessivo della moto a secco di 176 kg. Ma la ciclistica non era altrettanto vigorosa. Il telaio, una doppia culla in tubi di acciaio era privo di rigidità nei punti critici, esattamente come il cannotto di sterzo e il fulcro del forcellone. Anche i freni però (a tamburo) e le sospensioni non erano certamente all’altezza e poi… con l’anteriore da 19'' abbinato al posteriore da 18 (unitamente ad una distribuzione dei pesi non proprio indovinata) la propensione al “decollo” dell’avantreno era inevitabile ad ogni manata di gas. Un mix di adrenalina e terrore puro! Una moto a cui bastava veramente poco per trasformarsi da sogno a incubo. E proprio per questo si guadagnò sul campo il triste appellativo di “fabbrica di vedove” (widowmaker).


Il tentativo di addomesticarla


Va detto, certo, che tutte le moto di quel periodo avevano ciclistiche (chi più chi meno) inadeguate, ma non dovevano fare però i conti con un propulsore così esplosivo. Nel corso degli anni, i tecnici Kawasaki sottoposero la MACH III a diversi interventi allo scopo di renderla meno impegnativa. Fu rivisto il telaio e arrivò il freno a disco all’anteriore. Inoltre, grazie all’aumento del passo, il motore fu collocato in posizione più avanzata, riparando in parte alla pessima distribuzione dei pesi dei primi modelli. Tutti questi aggiornamenti restituirono una moto più gestibile, ma sempre e comunque un mezzo dall'indole selvaggia e imprevedibile.


E poi arrivò la MACH IV


Per conquistare il mercato, ad un certo punto, fu evidente che ci voleva una più tranquilla quattro tempi, adatta anche ai lunghi viaggi. Proprio come la Honda CB 750 Four, divenuta in poco tempo il punto di riferimento del settore. In Kawasaki compresero questa necessità, ma prima di mettersi a lavorare al progetto di quella che sarà la Z1 900, ebbero la “scellerata” idea di affiancare alla MACH III una sorella maggiore: la MACH IV 750. Era il 1971. Un missile da quasi 75 cavalli in grado di “bucare” il muro dei 200 km/h e di coprire i 400 metri da fermo in poco più di 12 secondi. E se la 500 si era dimostrata una “bara volante” e, come detto, un mix di adrenalina e terrore, la 750 si rivelò, a causa della maggior potenza, ancora peggio. Un vero concentrato di terrore, nonostante gli interventi di “addolcimento” a cui la sottoposero anno dopo anno. Una moto senza mezze misure, adatta solo ai piloti veloci o agli incoscienti. Proprio come la sua progenitrice. Ma proprio per questo esercitava un fascino irresistibile.
Ci aveva provato la Suzuki a contrastare il macabro primato delle MACH III e IV, ma le sue GT 380 e 750 erano troppo “a misura d’uomo” per riuscire a scalzare le Kawa dal trono del terrore. Oggi le due MACH sono oggetti di culto piuttosto difficili da reperire, soprattutto la 750, che è quasi introvabile. I prezzi poi…

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