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Honda Africa Twin: il dinosauro africano

Il mito della "Paris-Dakar"

Moto - News: Honda Africa Twin: il dinosauro africano

E' forse la moto più vicina al mito della "Paris-Dakar", decisamente appariscente e ripropone molti dei motivi fisionomici delle Honda che hanno vinto alcune delle edizioni della leggendaria ed ardente maratona trans-africana. Chi, se non lei: l'Honda Africa Twin XRV 650 cc, la comodità e la generosità fatta moto. Fu presentata al pubblico il 24 Ottobre in occasione del Salone di Parigi del 1987. L’anno successivo, nel mese di Maggio, fu proposta in vendita in Italia al prezzo di 9.586.000 lire chiavi in mano, nell’unica livrea HRC: bianca, rossa e blu.

Il mito africano, unito a quello della competizione, appassionava molto i motociclisti degli anni Ottanta del secolo passato. Per rivivere la leggendaria "Paris-Dakar" bastava un giorno di nave con sopra le motociclette cariche fino all’inverosimile. L’Africa Twin riprendeva la linea della NXR 750 ufficiale di Edi Orioli, moto che gareggiò e vinse alcune delle edizioni della storica e polverosa competizione. L’Africa Twin era parente stretta della Transalp 600 cc, dalla quale prese in prestito la forma del motore ed il telaio, sempre a doppio trave superiore. Tutto il resto, era innovativo: rispetto alla Transalp, infatti, l’Africa Twin era più curata nei particolari, decisamente più rifinita, meglio equipaggiata riguardo al sistema frenante, alle sospensioni, al cruscotto ed agli accessori.

LA TECNICA

Il propulsore, con la sua colorazione tipo "corsa" al magnesio, è un bicilindrico quattro tempi a V longitudinale di 52°, raffreddato a liquido con distribuzione monoalbero comandata da catena tipo Morse e tre valvole per cilindro, con avviamento elettrico; l’accensione è elettronica ad anticipo automatico ed elettronico; due sono le candele per cilindro e a "dare da bere", ci sono i carburatori Mikuni a depressione da 34 mm di diametro. La lubrificazione è a carter umido con pompa dell’olio trocoidale (o a lobi se preferite), mentre la frizione è a dischi multipli in bagno d’olio; il cambio, preciso e rapido negli innesti frontali, conta cinque rapporti con ingranaggi sempre in presa e la frizione resiste molto bene agli strapazzi, ma accusa qualche imprecisione d’innesto, unita a giochi di funzionamento che aumentano con la progressione dei chilometri. La trasmissione primaria è ad ingranaggi a denti dritti e la finale a catena sigillata con giunti torici.

Lo "scheletro" dell’appariscente on off è formato da un doppio trave superiore con tubi a sezione rettangolare, con cannotto di sterzo inclinato di 28° e avancorsa di 113 mm. Il sistema di sospensioni è formato anteriormente da una forcella oleopneumatica con steli da 43 mm, capace di un’escursione di 230 mm, e posteriormente da un forcellone oscillante in alluminio estruso a sezione rettangolare e da un monoammortizzatore Pro-Link, regolabile in compressione e nel precarico dalla molla (escursione della ruota pari a 210 mm). I cerchi sono in lega leggera da 1,85-21 l’anteriore, e da 2,75-17 il posteriore, circondati dal pneumatico anteriore che misura 90/90-21 e dal posteriore da 130/90-17. Il sistema frenante, potente e ben modulabile, è composto da: anteriormente, un disco da 296 mm di diametro con pinza flottante a doppio pistoncino, mentre posteriormente, un disco singolo da 240 mm di diametro, con pinza flottante a singolo pistoncino. L’impianto elettrico è da 12V, la batteria da 12 Ah ed il generatore da 310W; le dimensioni della moto, invece, sono le seguenti: la lunghezza 2.295 mm, l’interasse 1.550 mm, la larghezza 865 mm, l’altezza 1.290 mm e quella della sella 890 mm.

COME ANDAVA

Salendo in sella, rigorosamente scamosciata per non far scivolare il centauro, questo si trova a suo completo agio, se di medio-alta statura. La posizione di guida è "fuoristradistica": busto eretto e braccia ben poste sul largo manubrio; le pedane sono ricoperte da morbida gomma per non rovinare le scarpe di tutti i giorni. La carenatura è stata studiata appositamente per il comfort del pilota, decisamente ben riparato dal vento, anche ad andature di guida sostenute.

Anche se il peso della "rude" giapponese non è certo da "piuma", in movimento non si avverte quasi per nulla. La "dolcezza" del motore aiuta molto anche nel traffico cittadino e nei suoi strettissimi slalom; quando si abbandona la città, l’Africa Twin è decisamente a proprio agio, grazie alla precisione della sua ciclistica, molto vicina a quella delle coeve motociclette stradali. Diventa una vera globe trotter per via della sua vasta autonomia di carburante, data dalle generose dimensioni del suo serbatoio; le asperità vengono tutte digerite dalle sue sospensioni a lunga escursione.

Nel fuoristrada più duro il risultato è più che positivo, soprattutto sui terreni compatti, ove gli pneumatici esercitano una trazione discreta senza perdere l’aderenza. Nell’affrontare il manto sabbioso, il peso rilevante che grava sull’avantreno penalizza molto la maneggevolezza, ma basta alleggerire il peso del pilota sulla ruota anteriore e spostarlo su quella posteriore. L’erogazione è dolce e tonda ai bassi regimi, come agli alti e la verve del motore è capace di trarre d’impaccio il centauro anche nelle situazioni limite. Stupisce l’Africa Twin, per la sua imponenza. Riesce a farsi notare fin da subito ed a guadagnare il favore degli appassionati dell’enduro, rimanendo, per anni la vera maxi-enduro dagli occhi a mandorla. Oggi, ancora si attende la nuova versione.


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