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Ducati Streetfighter 848 Vs MV Agusta Brutale 675 - COMPARATIVA

Sono belle, sono italiane e sono sportive. Due modi di vivere la nuda made in Italy

Moto - Test: Ducati Streetfighter 848 Vs MV Agusta Brutale 675 - COMPARATIVA

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Cos’hanno la Ducati Streetfighter 848 e la MV Agusta Brutale 675 che le distingue a prima vista dal resto della produzione mondiale delle naked di media potenza?
Facile, sono italiane, e questo dovrebbe già bastare a differenziarle dal resto della massa. In più hanno un design che le avversarie possono solo sognare, e da ultimo hanno un’indole spiccatamente più sportiva di tutte le competitor. Insomma, con questi presupposti, diventa molto facile abbinare queste due motociclette a una coppia di belle ragazze italiane, magari una bionda e una rossa per non ricadere nello stereotipo dei capelli corvini, e lasciare che siano loro a salire in sella per una giornata con le protagoniste della nostra prova.
Iniziamo quindi proprio ringraziando le nostre OmniMotine per essersi prestate a posare per il fotografo per un test un po’ fuori dal comune, nel quale le abbiamo lasciate libere di vagare per la città più bella del mondo proprio come due amiche che si incontrano per un giro in moto e poi tirano tardi a chiacchierare in un locale davanti a un buon aperitivo.

BELLE CHE BALLANO

Il lettore attento starà sicuramente obiettando che la MV Agusta Brutale 675 non è perfettamente paragonabile con la Streetfighter 848, specie adesso che in listino c’è la versione 800 della nuda di Varese. Siamo perfettamente d’accordo, ma purtroppo il servizio che state leggendo è stato realizzato pochi giorni prima che la MV Agusta svelasse la declinazione 800 del motore tre cilindri, e quindi non potevamo saperlo. Va detto anche, però, che tra Brutale 675 e 800 design ed ergonomia sono esattamente coincidenti e che quindi le differenze si concentrano solo sulla potenza installata e nella qualità delle sospensioni che sulla 800 sono regolabili.

Detto ciò, e in attesa che la MV Agusta ci faccia provare anche la Brutale 800, andiamo avanti con la nostra comparativa. Le due moto che abbiamo provato sono diverse tra loro non solo per cilindrata e potenza, ma anche per l’allestimento e il prezzo, quindi se siete in cerca di un confronto tecnico a pari prezzo, allora questo articolo non fa per voi.
Se invece siete in cerca di una naked che abbia un design ricercato, prestazioni elevate e soprattutto che sia una moto col tricolore sul serbatoio, allora andate avanti perché le due protagoniste di questo test sono due perfette interpretazioni di questo concetto, esplicitato con personalità molto diverse.
Prima di andare oltre, però, ricordiamo comunque i prezzi di commercializzazione: la Ducati Streetfighter 848 è disponibile in Rosso, Giallo o Nero a 12.590 euro. La MV Agusta Brutale 675, invece, sposa la nuova politica di prezzo di MV ed è disponibile su strada a 9.190 euro in Bianco perla/oro, Rosso/argento o Grigio/antracite.

UN PO’ DI TECNICA
Le due nude protagoniste della nostra prova rispecchiano molto bene la loro italianità anche nelle caratteristiche tecniche. Entrambe, infatti, hanno ciclistica costruita attorno a un robusto telaio a traliccio in tubi d’acciaio, che da solo basta a identificare univocamente la nostra scuola telaistica. Quello della Ducati discende direttamente dal telaio vittorioso in Superbike con la 1198 e può essere identificato facilmente come l’ultimo dei tralicci race replica di Borgo Panigale, visto che la nuova hypersport bolognese, la Panigale ha abbandonato questa vittoriosa saga.
La struttura della Brutale, invece, è stata progettata appositamente per la nuova piattaforma tre cilindri di Schiranna e ricalca la tecnica inaugurata ormai quattordici anni fa con la F4 750, fatta di un traliccio anteriore poi avvitato a piastre d’alluminio posteriori che supportano il forcellone e il telaietto posteriore.

All’avantreno troviamo in ambo i casi una forcella a steli rovesciati da 43 mm; il fornitore è lo stesso, l’italiana Marzocchi, ma l’unità montata sulla Ducati è completamente regolabile, mentre quella della MV non prevede nessuna regolazione.
Molto simile il layout della sospensione posteriore, visto che entrambe le moto adottano un monobraccio in lega leggera con ruota a sbalzo con monoammortizzatore azionato attraverso leveraggi progressivi. Anche in questo caso il fornitore degli ammortizzatori è il medesimo, la Sachs, ma sulla Ducati il mono è regolabile in precarico, compressione ed estensione, mentre sulla MV è possibile variare solo il precarico molla.
Molto simili gli impianti frenanti: per entrambe abbiamo una coppia di dischi semiflottanti da 320 mm all’anteriore con pinze Brembo radiali a quattro pistoni. La Ducati ha una raffinata pompa radiale Brembo al manubrio, mentre la MV ha una più tradizionale pompa assiale firmata Nissin.
Impianti simili al retrotreno con un disco da 245 mm e pinza a due pistoni per Ducati e disco da 220 mm con pinza a due pistoni per MV Agusta.
Le misure delle gomme sono molto simili: all’avantreno troviamo una 120/70 ZR17 per entrambe, e anche al retrotreno la larghezza dei pneumatici è la medesima: 180 mm, ma la sezione adottata da Ducati è più alta e sportiva (il ribassamento è /60), mentre sulla Brutale c’è una classica /55. Diverse anche le scelte dei pneumatici, più sportiva quella della Streetfighter che monta delle Pirelli Diablo Rosso Corsa, più turistica quella della Brutale che monta i Pirelli Angel ST.

MOTORI: TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Passando a parlare di motori, è sufficiente guardarli per riconoscere una scelta propria della tradizione italiana sulla Ducati, che ostenta il suo bicilindrico a V di 90° in bella mostra, mentre il motore che spinge la MV Agusta è frutto di un progetto tutto nuovo che però affonda le radici nella storia più remota del marchio varesino.
Per trovare un altro tricilindrico in linea in casa MV, infatti, bisogna tornare indietro di oltre quarant’anni alle mitiche tre cilindri da GP 350 e 500 che fecero la fortuna di Giacomo Agostini.
Il nuovo motore tre cilindri in linea della MV, quindi, soddisfa sia la necessità di tenere vivo il ricordo del passato, sia l’esigenza pratica di un’azienda che, dovendo progettare un motore nuovo in tempi di crisi come quelli attuali, ha scelto di puntare sul tre cilindri, più economico da progettare e costruire di un quattro in linea.

Il V2 Testastretta 11° di Ducati ha misure di 94,0 x 61,2 mm che fanno una cilindrata di 849,4 cc. La distribuzione è quattro valvole per cilindro con richiamo desmodromico e due alberi a camme in testa comandati dal ben noto giro cinghie di Ducati. Il raffreddamento è a liquido e Ducati ha scelto di utilizzare due radiatori montati in serie in modo da tenere stretta la sezione frontale. Così facendo, in Ducati hanno dovuto utilizzare lo spazio normalmente occupato dal radiatore dell’olio e quindi quest’ultimo è stato sostituito da uno scambiatore olio/acqua posto nel puntale dietro al radiatore del liquido. L’alimentazione è ad iniezione elettronica Magneti Marelli con corpi farfallati ellittici comandati meccanicamente, e il controllo motore comprende il controllo di trazione ad otto livelli impostabile dal manubrio. La potenza erogata dal Testastretta è di 132 CV a 10.000 giri/min e il picco di coppia è di 93,5 Nm a 9.500 giri/min.

Il tre cilindri MV Agusta si distingue per la configurazione scelta di avere l’albero motore che ruota all’indietro, esempio rarissimo nel panorama motoristico attuale (l’altro è il mono 450 BMW/Husqvarna).
La MV ha scelto questo layout perché dovrebbe migliorare la maneggevolezza della moto, ma ciò impone l’aggiunta di un albero ausiliario, a meno che non si voglia che la moto vada a retromarcia. A Schiranna hanno risolto il problema con molta eleganza, sfruttando la necessità di montare un albero equilibratore per attutire le vibrazioni, facendolo diventare albero intermedio tra motore e cambio.
Le misure di alesaggio e corsa sono abbastanza spinte, 79,0 x 45,9 mm che realizzano una cilindrata di 675 cc. La distribuzione è bialbero a camme in testa con comando tramite catena sul lato sinistro del motore, e il raffreddamento è a liquido con il voluminoso radiatore frontale coadiuvato nel suo lavoro da un bel radiatore olio curvo posto inferiormente.
Il controllo motore si avvale di corpi farfallati Mikuni comandati elettricamente dal ride by wire, e la centralina è fornita dalla Eldor, azienda del Comasco nata nel 1972 con la produzione di componenti avvolti (bobine) per televisori e poi passata dall’elettronica di consumo all’automotive nel 2003.
La Ecu EM2.0 gestisce sia le quattro mappe motore che le otto del traction control, ed è in grado di tenere sotto controllo anche il misfire e l’insorgere della detonazione, ed è predisposta per ricevere un dispositivo di cambiata rapida opzionale.
La potenza erogata dal tre cilindri MV è di 110 CV a 12.500 giri/min e il valore di coppia massimo è di 65 Nm a 12.000 giri/min.

FACCIA A FACCIA:
PICCOLA E IMPERTINENTE O ADULTA E DETERMINATA?

Finalmente è il momento di salire in sella alle protagoniste di questa comparativa. Basta guardarle da lontano per capire che la MV Agusta pesa 167 kg a secco perché è microscopica… la moto è compattissima e lo spazio in sella è studiato per piloti di piccola taglia. La Brutale 675 è però tutto sommato comoda, con la schiena appena inclinata in avanti e il manubrio abbastanza alto per non affaticare. Le gambe sono raccolte, ma non in maniera fastidiosa.
L’ergonomia della Ducati, che a secco pesa solo 2 kg in più, è invece spiccatamente più sportiva, con la sella più alta di ben 3 cm rispetto a quella della Brutale. Il manubrio è posto ad una quota accettabile ma è molto avanzato (oltre la mezzeria della piastra forcella) e quindi il busto si trova più sbilanciato in avanti. Il serbatoio strettissimo, poi, fa sì che sulla Streetfighter non sia agevole puntellarsi con le cosce e tutto il peso del corpo finisce per gravare sui polsi.
Per entrambe le moto sarebbe meglio sorvolare sulla porzione di sella riservata al passeggero, che su tutte e due è decisamente sacrificata. Sulla Ducati il copilota siede in alto ed è abbastanza distante dal serbatoio, ma tutto sommato siede in modo stabile. Sulla Brutale chi sta dietro è più vicino al pilota, ma la sella è stretta e scivolosa e la sensazione di instabilità prevale.
Allo stesso modo potremmo evitare di parlare di protezione aerodinamica, visto che è del tutto inesistente su queste moto, ma un commento è d’obbligo. Viaggiando a velocità autostradali, paradossalmente, si sta meglio sulla Ducati, visto che la posizione di guida inclinata in avanti permette di fendere meglio l’aria, mentre sulla Brutale il busto è completamente esposto e bisogna aggrapparsi al manubrio per tenere velocità di crociera elevate.

Al primo contatto con le due moto si avverte una cura costruttiva elevata in generale, ma più raffinata sulla Ducati. Comandi al manubrio, specchietti, leve, pulsanti etc sono più ricercati sulla Streetfighter, e in questo il prezzo d’acquisto più elevato si fa sentire. Anche la verniciatura è più curata mentre, ad esempio, la coda della Brutale non presenta il trasparente.

Avviamo le motociclette e fin dal primo rombo si percepiscono due caratteri molto diversi dei propulsori: il Testastretta 848 ha un sound cupo ma molto garbato e si percepisce che è un motore supersportivo ben addomesticato per l’uso quotidiano.
Di tutt’altra pasta il tre cilindri MV Agusta: avviatelo e vi sembrerà di esser pronti per schierarvi in griglia… Il tricilindrico emette un rumore impertinente e rabbioso, come se volesse chiedere di essere portato subito a girare a regimi elevati.
Queste sensazioni vengono confermate appena si parte per il primo giro di prova. Il carattere del bicilindrico Ducati è perfettamente lineare; fin dai bassi mostra un’erogazione della coppia fluida e delicata che cresce velocemente fino ai regimi molto alti cui questo V2 può girare, senza nessun vuoto o buco di coppia. La potenza a disposizione è più che sufficiente per trarsi d’impaccio in ogni situazione e la rapportatura finale abbastanza lunga permette di viaggiare a velocità autostradali con il motore che gira in basso, risparmiando carburante.

Il tre cilindri MV Agusta, invece, anche in questo caso mostra un carattere decisamente vivace. La disponibilità di coppia ai bassi regimi è piuttosto scarsa, e la gestione poco efficace del ride by wire fa sì che trotterellare a basse andature con la Brutale 675 non sia affatto facile. Le masse volaniche sono molto contenute e quindi questo motore richiede che gli sia dato gas per dare il meglio. Salendo di regime, infatti, quando il motore varca i 7.000 giri/min, l’erogazione ha un’impennata decisamente brusca che porta la piccola Brutale a sollevare veementemente la ruota anteriore in prima e seconda marcia quando si passano gli 8.000 giri/min. Un comportamento molto divertente, ma di certo non accessibile a tutti, specie a chi è alle prime armi. Consigliamo a chi non sia un pilota esperto, di preferire la mappa motore Normal (o addirittura la Rain) e di impostare il Traction Control su un valore conservativo, per imparare a usare la Brutale 675 in maniera graduale.
Nell’utilizzo cittadino sia la Ducati che la MV Agusta non si trovano particolarmente a proprio agio: la prima per via della posizione di guida scomoda, la seconda a causa dell’erogazione troppo appuntita che porta a fare partenze in stile GP ad ogni semaforo, e dei consumi decisamente elevati (la Ducati al contrario si è rivelata molto parca nei consumi).

La nostra prova continua poi sulle strade extraurbane, terreno d’elezione per queste motociclette. Lasciata la città e imboccata una strada di montagna emerge ancora una volta il carattere diversissimo di queste naked. La Ducati mostra subito una ciclistica rigorosa e stabile, mentre la MV Agusta spicca subito per un’agilità imbarazzante. Sullo sconnesso le sospensioni regolabili della Streetfighter si fanno apprezzare per la capacità di incassare e per la taratura di base sufficientemente confortevole, laddove la Brutale si rivela abbastanza rigida e secca nella risposta alle sollecitazioni impulsive.
Finchè le strade sono ampie con curvoni da raccordare emerge la precisione di guida della Ducati, coadiuvata anche dalla notevole disponibilità di coppia, mentre la MV Agusta segue le traiettorie impostate con meno rigore e con il motore a regimi nettamente più alti.

Quando la strada si fa più tortuosa, però, l’agilità della Brutale la porta inesorabilmente davanti e la Streetfighter è costretta a inseguire la rivale, figlia di un progetto più fresco. Il vantaggio acquisito dalla B3, però, finisce per perdersi di nuovo quando arrivano i tornanti, perché se è vero che anche in quel caso la ciclistica resta molto svelta, è vero anche che l’erogazione del motore a basse velocità è decisamente irregolare e si finisce per percorrere i tornanti in prima marcia con il rischio di mettersi la moto per cappello in uscita di curva se si vuole essere veloci.
In cima al passo, a conti fatti, ci arriva prima la Brutale, ma a costo di una maggior concentrazione e di uno sforzo molto superiore nella guida. Chi porta la Ducati, invece, arriverà decisamente più rilassato e appagato dalla salita.

Molto simile il comportamento dei freni: su tutte e due le moto c’è potenza a sufficienza per fermarsi in spazi ridotti in ogni frangente, con la Ducati che emerge per il miglior feeling che solo una pompa radiale può dare. Dispiace però, che su nessuna delle due contendenti sia possibile montare l’ABS, un ausilio sempre più importante.

FATE I VOSTRI GIOCHI

Ora tocca a voi decidere quale tra le protagoniste della nostra comparativa più si addice ai vostri gusti e, soprattutto alle vostra personalità. Da un lato la Streetfighter 848, matura e affascinante, dall’altro la Brutale 675 graffiante e impertinente… in una parola, preferite la rossa o la bionda?


In questo test abbiamo utilizzato:
Caschi: Shark - Bell
Giacche, pantaloni, guanti, stivali, paraschiena: Dainese

Foto: Copyright Federico Oddone

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