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Una Superbike poco Super

Poche gare davvero entusiasmanti e spettatori poco coinvolti. Cosa serve alla SBK per tornare quella di un tempo?

Moto - News: Una Superbike poco Super

Dobbiamo ammetterlo, quest'anno la Superbike è stata davvero poco emozionante. Se escludiamo quelle poche gare in cui lo spettacolo c'è stato davvero, il resto del campionato è stato un unico, lungo, infinito monologo Kawasaki, con Jonathan Rea campione del mondo per la seconda volta consecutiva in sella alla ZX-10R 2016.


Anche in passato ci siamo annoiati


Eppure non è la prima volta che assistiamo a un mondiale monocolore. A inizio millennio le Ducati dominavano incontrastate su tutti i circuiti. Il massimo squilibrio si ebbe quando la 999 (prima di Hodgson e poi Toseland) aveva raggiunto il suo massimo livello di elaborazione, arrivando ad essere considerata da molti quasi un prototipo più che una derivata di serie. In quegli anni la concorrenza giapponese - appena passata alle 1000 dalle 750 - aveva forti limiti regolamentari come gli air restrictor, e le prestazioni non potevano essere al livello delle piume bolognesi. Subito dopo ci pensò la Suzuki a rimettere le cose in equilibrio, con il mitico campionato 2005 di Troy Corser, ma qualcosa di simile si vide anche l'anno seguente con il dominio totale di Bayliss e della sua Ducati. 


Una stagione in chiaroscuro


Eppure in quegli anni siamo riusciti a goderci le gare molto di più, non era così raro lasciar perdere le grandi fughe dei piloti ufficiali e concentrarsi sulle battaglie nelle retrovie, dove le gomitate continuavano a darsele e la bagarre non è mai mancata. Insomma, gli stimoli per uno spettacolo da popcorn e birra sul divano c'erano molto più di adesso, benchè Rea abbia comunque vinto il mondiale all'ultima gara e Sykes è arrivato secondo per soli 2 punti su Davies... ma allora cosa è veramente mancato alla stagione 2016?
Mettendo da parte un po' di orgoglio nazionale, che da sempre abbiamo provato per le vittorie Ducati, non possiamo che trovare la SBK di questi anni davvero poco personale. Le lotte nelle varie parti della classifica ci sono, gli exploit di alcuni protagonisti anche, ma non c'è un vero e proprio bacino di campioni e personalità tali da far provare i brividi agli appassionati.
Se dovessimo dare i voti alla Superbike 2016, il voto più alto andrebbe sicuramente a Chaz Davies, uno che ci ha messo anima e cuore per raggiungere il terzo posto, che ha battuto spesso le Kawa con una moto non alla loro altezza e regalando spettacolo vero ad ogni curva. Poi il nulla, perchè se Rea ha tutti i meriti del mondo per una stagione con i fiocchi, si è rivelato fin troppo corretto e calcolatore, non ha mai avuto bisogno di fare i salti mortali per guadagnarsi le vittorie, mentre Sykes non ha brillato. Due stagioni irrimediabilmente in scia dell'avversario senza mai fare meglio non sono così splendide per un campione del mondo.


Come e perchè la SBK ha perso?


Snaturata e piatta, la SBK moderna non è lo specchio della massima competizione delle derivate, forse perchè non ci sono più veri e propri talenti (freschi) che dedicano un'intera carriera allo scopo di diventare il re di questa categoria. Eccezion fatta per alcuni piloti che in questo campionato hanno messo radici (guarda un po' tutti quelli di testa), per molti altri è solo una sorta di passaggio verso la tanto scintillante MotoGP, o un ritorno prima di appendere il casco al chiodo.
Così snaturata da essere diventata soltanto una versione un po' più prestigiosa del BSB, il campionato inglese. Il Regno Unito è l'unica nazione ad avere ancora una forte tradizione di SBK nazionale e la poca personalità del mondiale si nota dalla "colonizzazione" da parte degli inglesi. Vogliamo rincarare la dose, mettendoci dentro anche la gestione Dorna decisamente poco attenta allo sviluppo di questi anni e poco capace di rispondere in modo veloce ai cambiamenti. Quando da Infront Motorsport la gestione passò agli spagnoli c'era molta incertezza nell'aria, ma si sperava che l'ingresso nel gruppo della MotoGP potesse far cessare la rivalità fra le due classi e favorire la diversa caratterizzazione dei campionati, magari tornando a una SBK delle origini strettamente derivata dalle moto stradali. Questo in parte è avvenuto, ma sono stati tralasciati così tanti altri aspetti che hanno aumentato ancora di più il divario fra una "Serie A" fatta di prototipi, contratti milionari e riflettori, e una "Serie B" che manca di campioni, di personalità e di investimenti.

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