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Suzuki GSX 1100 S Katana: La lama nipponica

Ricorre il 30esimo compleanno della sportiva Katana. Ripercorriamone insieme la storia

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La katana è la più famosa tra le spade dei samurai, i guerrieri al servizio dei feudatari nel Giappone medioevale. Essa possedeva una lunga lama ricurva a taglio singolo e poteva essere impugnata con una o entrambe le mani.
In campo motociclistico invece la Suzuki GSX 1100 S Katana è stato uno dei modelli più famosi, ma controversi della storia della Casa di Hamamatsu a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta del secolo passato.

LA STORIA

La Suzuki GSX 1100 S Katana è stata presentata al Salone di Colonia nel 1980. Aveva un design innovativo essendo avanti almeno di dieci anni rispetto alla concorrenza, ma la sua robusta meccanica e le sue soluzioni tecniche rimandavano immediatamente agli anni Settanta del ‘900.
Se i progettisti e lo staff tecnico avessero osato di più dotando la Katana di soluzioni innovative, non solo estetiche, molto probabilmente essa sarebbe divenuta un’importante pietra miliare nella storia del motociclismo. Purtroppo, la GSX 1100 S e tutti i componenti la sua famiglia, non sono stati granchè capiti ed hanno avuto uno scarso successo commerciale. Le Katana sono rimaste molto poco in commercio, sia in Europa, che negli U.S.A., mentre in Giappone sono state prodotte fino al 2001, ovviamente però in quantitativi molto ridotti.

LA TECNICA

Il quattro cilindri bialbero di 1074 cc in linea e raffreddato ad aria (il radiatore dell’olio veniva fornito come optional) è stato, per la Katana, mutuato dalla GSX 1100 E, ma anche impreziosito della testa TSCC che, insieme con i cilindri, è in lega leggera. Il propulsore viene alimentato da quattro carburatori Mikuni BS34SS ed è dotato di accensione elettronica ad anticipo variabile e di un impianto elettrico 12 V.

Lo scarico è un "quattro in due" con condensatore che passa sotto la coppa dell’olio fissata da ben otto viti. La frizione è multidisco in bagno d’olio con molle elicoidali e la trasmissione primaria è ad ingranaggi, mentre la finale è a catena. Il cambio in blocco a cinque rapporti ha ingranaggi sempre in presa ed è comandato dal pedale sito sul lato sinistro della motocicletta.
Lo "scheletro" della Katana è un doppia culla chiusa in acciaio al cromo molibdeno con cannotto di sterzo inclinato di 29º 50'.
Il sistema di sospensioni è formato da una forcella anteriore teleidraulica da 35 mm, con dispositivo antiaffondamento anti-dive e con vite di precarico molla su quattro posizioni, alla quale si accede togliendo i tappi in gomma sulla testa della forcella; posteriormente vi è un forcellone oscillante con due ammortizzatori idraulici regolabili su ben cinque posizioni di precarico molla e quattro di estensione idraulica.
Il freno anteriore è un doppio disco forato da 275 mm con pinze a pistoncino singolo che lo "mordono" prontamente; il freno posteriore, dotato di serbatoio con oblò per verificare il livello dell’olio, è a disco traforato della stessa dimensione dell’anteriore, con pinza a singolo pistoncino, dotata di sportellino per la sostituzione delle pastiglie.
Le ruote sono in lega a 5 razze stellari: l’anteriore misura 1,85-19, la posteriore 2.5-17.

La strumentazione racchiude in un solo elemento il contachilometri, il tachimetro, il contagiri e cinque spie di servizio; i blocchetti elettrici del manubrio sono di ottima fattura, funzionali e resistenti sia all’azione del tempo, che a quella umana.
Sul fianchetto sinistro sono ubicati due pulsanti che comandano il lampeggio delle 4 frecce (disattivati sulle moto vendute in Italia) e la grossa manopola dello starter. Sempre sullo stesso lato della motocicletta, in corrispondenza della fine del fianchetto ed a vista, ci sono il regolatore di tensione alettato e la scatoletta dei fusibili. Sotto la sella bicolore, sganciabile tramite la serratura sita sulla parte superiore del codino, si trova il grosso filtro dell’aria in carta e schiuma poliuretanica; nel codino invece c’è solo lo spazio per la borsa delle chiavi in dotazione.

COME ANDAVA

La Katana era una supersportiva dalle prestazioni al top della categoria (la velocità massima era di 238 km/h ed il consumo dichiarato di 4,67 litri ogni 100 km), purtuttavia conservava il cavalletto centrale, utile per la manutenzione, ma che incideva negativamente sia sul peso della due ruote, che già misurava 232 kg a vuoto e sia sulla luce a terra, ossia sulle inclinazioni che si potevano ottenere in curva con "pieghe" molto spinte.
La posizione di guida costringeva il pilota, con il busto proteso in avanti e le pedane arretrate, a far gravare il suo peso anteriore sui polsi. L’angolazione del manubrio in due pezzi era poco indovinata e non faceva altro che penalizzare gli avambracci dello stesso, soprattutto nel traffico cittadino. Nella vista frontale e posteriore della motocicletta, spiccavano i grossi ed antiestetici indicatori di direzione e l’ingombro del 4 cilindri, lasciato volutamente in evidenza dalle forme nettamente essenziali della carrozzeria, la cui fisionomia, decisamente inconsueta, è stata progettata dalla tedesca Target Design.

Attualmente, questa avveniristica moto del Sol levante riscuote molto successo tra gli estimatori ed i collezionisti di tutto il mondo e rimane un interessante pezzo della storia del motociclismo post-classico. Sarebbe bene però preservarla dalle insidie del tempo che, per essa, ha sempre giocato un ruolo molto particolare e non sempre positivo.

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