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Tomizawa: la parola a Siegfried Stohr

L'ex-pilota di F1 parla dell'incidente nella "sua" Misano Adriatico

Moto - News: Tomizawa: la parola a Siegfried Stohr

L'incidente di Shoya Tomizawa continua a far parlare media e opinione pubblica non tanto sulle cause che hanno portato all'incidente - anche se si è già iniziato a tirare in ballo l'erba sintetica fuori dal curvone - ma piuttosto per i soccorsi avvenuti successivamente all'impatto.

Vero, anche con la bandiera rossa Tomizawa sarebbe morto comunque vista l'entità e la tipologia di impatto con le altre moto, ma a detta di molti sarebbe stato possibile un più adeguato e tranquillo intervento medico se fosse stata data la bandiera rossa al posto di una gialla. Forse ci si sarebbe evitati scene assurde come quella del barelliere che inciampa o decine di piloti che sfrecciano - comunque forte - tra detriti e corpi umani resi immobili dalla crudeltà dell'impatto.

Tra le voci del coro ce n'è certamente una più autorevole di altre, un po' perchè Misano è la sua casa ed il fulcro della sua attività post-pilota F1 - la scuola di guida sicura GuidarePilotare - ed un po' perchè Stohr ha la saggezza e la competenza per suggerire e dare consigli in frangenti di questo genere. Ai tempi di Stohr, infatti, nelle corse d'auto e di moto la morte era una brutta bestia.

"E’ morto un pilota - parla Stohr - proprio a Misano dove lavoro. Di fronte alla morte abbiamo sempre due diversi problemi: 1. Chiedersi se si poteva evitare e come fare in futuro. 2. Onorare la memoria. Questo vale per la morte di un pilota, per quella della signora investita sulle strisce pedonali, per le 85 vittime della strage di Bologna, per il generale dalla Chiesa, la moglie e la scorta."

"Se il punto 1 invita a riflessioni su cosa non si è fatto - continua il pilota italiano - cosa andava fatto, cosa si potrà fare, anche il punto 2 si pone gli stessi obiettivi: la memoria ci deve far riflettere, aiutare a non ripetere gli errori del passato e migliorare il futuro. Tutto il resto a posteriori non serve, né alla vittima, né alle prossime vittime. Sono le inutili polemiche che ho sentito alla tv e ho letto sui giornali. Inutili perché non si sono poste il problema della sicurezza in termini reali, ma solo con gli occhi di chi vede un ralenti un’ora dopo e non era sul posto a intervenire in pochi secondi.

"Qualcuno ha invocato il senso etico - sottolinea Stohr - e il rispetto della vita chiedendo di non disputare la gara successiva. Il senso etico e il rispetto della vita invece, sta in quanto detto sopra, non nel piangere i morti "dopo" o nel non correre una gara fingendo che il motociclismo, come la boxe e l’alpinismo, non siano sport sempre e comunque pericolosi. Personalmente piango di più il pedone investito inconsapevole (magari dall’ubriaco di turno che scappa) piuttosto che il pilota che, come me, ha messo in conto anche l’estrema fatalità."

"Ma oramai è la televisione che suscita le nostre lacrime - aggiunge Stohr - e piangiamo solo le tragedie che possiamo vedere in diretta tv. Non sarebbe servito nulla fermare la gara e Claudio Costa lo ha spiegato lucidamente pur dopo avere pianto. Non sarebbe servito non far correre la MotoGP un’ora dopo la tragedia: di certo non sarebbe servito a salvare Tomizawa. Ma se vogliamo stimolare qualche riflessione rispondo così."

"Forse invece di fermare una domenica di gare - conclude Stohr - servirebbe fermare le nostre auto, anche solo per poche ore, per ricordare le vittime della strada: persone che andavano incontro a un momento di svago o si recavano semplicemente al lavoro senza contemplare per questo la possibilità di morire. Mi riferisco in particolare proprio ai motociclisti, utenti "deboli" insieme a ciclisti e pedoni che spesso non sono rispettati da automobilisti frettolosi e prepotenti. Non sarebbe un dramma: io ricordo ancora le domeniche a piedi durante la crisi del 1973, ma forse allora vivevamo in un altro mondo."

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