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Ducati Scrambler: come è nato il mito

Importata originariamente solo negli States, nasce dal tecnigrafo dell'Ingegner Fabio Taglioni

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L'albero genealogico della famiglia Scrambler non smette di generare frutti: l'ultimo in ordine di tempo – l'abbiamo appena conosciuto ad Eicma – si chiama Scrambler 1100. Ma qual'è la storia di questa stirpe che Ducati ha rispolverato pochi anni fa? Per conoscerla, dobbiamo partire da un uomo che è stato una delle colonne portanti di Borgo Panigale: Fabio Taglioni.


Un uomo, un'azienda 


“Se mi realizza una moto per vincere il Giro d'Italia, la Ducati rimarrà aperta, perché ho un solo mese di stipendio per gli operai. Altrimenti, chiudiamo i battenti e tutti a casa”. Con queste parole il Dottor Montano, Direttore Generale di Ducati Meccanica, accoglie a Borgo Panigale, nel lontano 1954, un giovane ingegnere, Fabio Taglioni. E' questo l'inizio di una storia incredibile, che ha portato Taglioni a progettare, nei quarant'anni passati in Ducati, oltre 1.000 motori diversi. Uno di questi era destinato a muovere un nuovo tipo di motocicletta.


Una storia a stelle e strisce 


A dirla tutta, la richiesta di una moto che potesse affrontare con nonchalance sterrati e sabbia senza soffrire troppo arrivò da lontano: fu Joe Berliner, importatore americano del Marchio italiano, che chiese a Borgo Panigale un mezzo per contrastare la dilagante moda delle scrambler scoppiata oltreoceano proprio in quegli anni. La risposta fu, semplicemente, la Scrambler. Prima in una versione piuttosto basica, con motore monocilindrico da soli 250 cc. Poi, dal 1968, in modo più articolato: sono queste le Scrambler che arrivarono anche in Italia.


Look giusto, cuore monocilindrico 


Manubrio alto, soffietti sugli steli forcella (by Marzocchi), serbatoio a goccia con fianchetti a contrasto (proprio come sulle Scrambler di oggi), sella cicciotta, ruote a raggi Borrani: la Scrambler è inconfondibile. Da noi, piace fin da subito. Non solo per il look: il telaio, ad esempio, era così robusto che fu utilizzato anche nelle competizioni. E poi, c'era il motore monocilindrico a coppie coniche modificato con carter larghi, per ospitare cilindrate da 250, 350 e, dal 1969, 450 cc, con potenze fino ai 30 CV. Non una moto veloce – non come le altre Ducati, perlomeno – ma con personalità da vendere. Ed estremamente godibile su strada, grazie anche alla comoda posizione di guida.


Un grande successo, che continua ancora oggi 


La “prima vita” della Scrambler durò, in Italia, dal 1968 al 1974: in sei anni, questa Ducati vendette circa 50.000 esemplari. Nel 1972, per mettersela in garage, bisognava sborsare 430.000 Lire per una 250, 480.000 Lire per una 350 e ben 530.000 Lire per la Scrambler 450. Dopo la riscoperta del Marchio da parte di Ducati, le quotazioni dei modelli d'epoca stanno crescendo: vanno dai circa 4.000 euro per una “duemmezzo” ai circa 8.000 per una 450. Oggi la Scrambler strizza l'occhio sia all'asfalto (1.100 e Café Racer) sia al fuoristrada (Desert Sled) ma l'anima è rimasta quella, giocherellona, di sempre.

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