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Ducati e Terblanche: quelle moto "sbagliate" ma quasi perfette

Pierre Terblanche ha realizzato alcune delle moto italiane più controverse, ma tecnicamente e concettualmente ottime

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Ducati e Design sono parole che vanno a braccetto. In tutta la storia della Casa bolognese lo stile ha rappresentato una parte fondamentale, contribuendo alla fama dello "stile italiano" nel mondo dei motori e diventando la chiave del successo del brand in tutto il mondo. Con queste promesse uno scivolone estetico, anche di un solo modello sbagliato, può mandare in crisi tutta l'azienda.
È successo davvero nei primi anni 2000, quando a capo del Centro Stile c'era Pierre Terblanche, sudafricano visionario che ha dato alla produzione Ducati una svolta tanto azzardata quanto radicale, portando nel giro di pochi anni a una crisi di vendite e alla necessità di rivedere per intero l'assetto aziendale, con un nuovo presidente, nuovi designer e nuovi modelli. 


Un designer controverso


Pierre ha condotto studi di design nel suo paese natale, ma nel suo primo impiego si è occupato di pubblicità come manager per un'agenzia di Città del Capo. L'occasione della sua vita arrivò nel 1981, quando durante un incontro di lavoro fece vedere i suoi bozzetti a Giorgetto Giugiaro, che lo invitò in Italia a lavorare per lui alla Italdesign. Così nacque la carriera del Terblanche designer, con una parentesi in Volkswagen e l'approdo, nel 1989, in Cagiva, dove si occupò di alcuni restyling di modelli Ducati (allora di proprietà Castiglioni) sotto la direzione del grande Massimo Tamburini.
Negli anni seguenti si fece notare per una moto in particolare, la Supermono, interamente disegnata da lui e icona ancora oggi. Da questa moto nacque il design della Supersport di seconda generazione, il primo modello di grande produzione affidato alla matita di Pierre, che nel frattempo si era seduto sulla poltrona del Centro Stile Ducati dopo l'uscita di scena di Tamburini. Fu l'ascesa dello "stile Terblanche" e l'inizio della crisi Ducati.
Il cambio di rotta radicale del design Ducati si fece subito sentire con la presentazione della MH900e, una tiratura limitata in stile retrofuturistico (prima moto venduta solo online), con dettagli da vera concept bike che si fece apprezzare da molti, mentre altri sono rimasti scettici davanti a una strana moto che non rendeva chiare le intenzioni dell'azienda. Finchè il design controverso è rimasto limitato a moto esclusive nessuno si lamentò, ma quando venne presentata la tanto attesa erede della 998, fu scandalo.


999: una delle sportive più raffinate di sempre, ma troppo diversa dal passato


La 999 venne mostrata al mondo all'EICMA 2002 e gli appassionati si divisero. Non c'era nemmeno un briciolo del passato in questa strana moto lunga e stretta, dalla linea orizzontale in netta controtendenza rispetto alle sportive dell'epoca protese verso l'anteriore. I due faretti poliessoidali sovrapposti, per molti, erano un insulto alla bellezza naturale della 916, mentre al posteriore uno scarico sottocoda enorme spostava faro e indicatori più in basso, direttamente sul portatarga. 
La 999 portava in seno una ciclistica classica per Ducati, ma profondamente evoluta, con la possibilità di regolare l'angolo del cannotto di sterzo e di spostare la sella e il serbatoio avanti o indietro. Ci si poteva cucire la moto addosso e le prestazioni erano al livello delle aspettative, con una prima versione del Testastretta da 124 CV in configurazione standard e 140 CV nella esplosiva R. Era anche leggera con i suoi 186 kg.
Per tantissimi fu un vilipendio alla bandiera, altri invece notarono quanto questa moto fosse unica e curata: la piastra di sterzo era qualcosa di mai visto per forma e qualità, leggera e perfettamente rifinita. La strumentazione sviluppata in verticale era davvero bella e i tanto discussi faretti anteriori nascondevano sotto il cupolino un telaio di supporto in alluminio che sembrava un pezzo di design futuristico. Ma anche altri dettagli come le pedane, le pompe freno e perfino il cavalletto erano qualcosa di altissimo livello nel panorama delle supersportive. 
Amore, odio, bellezza, bruttezza, la 999 diventò una "instant classic" che venne poco capita dal mercato e dopo un convincente inizio, fece crollare le vendite nel giro di pochi mesi in un periodo storico in cui le supersportive dominavano il mercato. A poco servirono le innumerevoli vittorie in Superbike, fu un duro colpo.


Multistrada: splendida da guidare, ma esteticamente...


La seconda mazzata arrivò con la presentazione di un'altra moto che avrebbe dovuto spaccare il mondo sulla carta, ma che lasciò perplessi troppi adoratori del marchio: la Multistrada 1000. Questa moto, al momento del lancio, era qualcosa di mai visto prima. Alta come una grossa enduro ma con gomme stradali da 17", ciclistica sportiva e capacità turistiche. Multistrada era un concetto nuovo di crossover e un esperimento di design azzardato.
Al posteriore si poteva notare un codone in stile 999, ma più abbondante e con due uscite tonde, mentre davanti il cupolino alto era "spezzato" al centro e la parte superiore girava assieme a manubrio. Ancora in molti si chiedono "ma perchè?", mentre tanti altri sono riusciti a digerire questo strano vezzo stilistico e hanno apprezzato le caratteristiche dinamiche della moto, assolutamente spettacolare fra le curve e apprezzatissima dai tester dell'epoca. Nonostante i contenuti ottimi, l'estetica ne decretò il flop. Ora, sull'usato, i prezzi sono decisamente bassi (sia per 620, che per 1000 e 1100) ed è scattata una caccia agli esemplari in condizioni migliori da parte di tanti ducatisti che hanno rivalutato le reali qualità di questa moto.


Gamma Sport Classic: le grandi incomprese


Terzo flop che decretò la fine dell'era Terblanche fu la serie Sport Classic, tre moto che condividevano motori e telaio ma che declinavano in tre modi diversi il concetto di vintage. Per l'azienda, ancora una volta, fu una scommessa persa, questa volta cercando di portare l'attenzione su moto dallo stile classico ma dai contenuti moderni. L'unica colpa di Ducati, in questo caso, fu quella di aver anticipato troppo i tempi. Le moto erano semplicemente bellissime, universalmente riconosciute come oggetti dal design riuscito. La meccanica classica di derivazione Supersport era adatta allo scopo benchè un po' troppo sportiva, ma il concetto piaceva soprattutto agli appassionati più nostalgici, che negli anni di dominio delle supersportive erano purtroppo ancora pochi. La capostipite Paul Smart, poi la Sport 1000, la Sport 1000 S e la GT 1000 registrarono numeri di vendita infimi dal 2006 e la produzione fu sospesa dopo pochi anni. Solo in seguito arrivò la Triumph Bonneville e scattò la mania delle Cafe Racer, ora le Sport Classic hanno quotazioni di tutto rispetto nell'usato perchè sono moto ricercatissime e ambitissime. Terblanche si congedò dal centro stile Ducati subito dopo quest'ennesimo fallimento, ma lasciando in eredità una moto che fu finalmente azzeccata: la Hypermotard.


Meriti e demeriti di un periodo storico unico


Ducati ha quasi fallito, in quegli anni roventi, e solo una nuova gestione e modelli più azzeccati hanno dato nuova speranza a un'azienda che ora naviga a gonfie vele in crescita costante. Il periodo dell'oblio è stato dimenticato abbastanza in fretta grazie a 1098 e nuova Multistrada 1200, ma in pochi si ricordano che nonostante i pessimi risultati di mercato fu grande la passione che ha portato a quelle strane scelte aziendali.
Pierre Terlbanche è stato il disegnatore, ma fu il presidente di allora, Federico Minoli, a dare una direzione totalmente inedita alla politica dell'azienda. Furono anni di evoluzione tecnologica, di scommesse e di grandissima passione, che puntavano a un'affermazione di Ducati più come marchio personale e fortemente innovativo che come brand dai grandi numeri di vendita. L'idea di slegarsi completamente dalle logiche di mercato fu troppo azzardata e in molti considerarono la strada presa come un "tradire le origini", un'interpretazione sbagliata perchè mai prima di allora l'azienda si avvicinò ai ducatisti. Minoli istituì un filo diretto con gli appassionati, ci parlava di persona online e dal vivo (chi si ricorda il Desmoblog?) e ci metteva la faccia su ogni scelta, motivandola e intavolando spesso discussioni costruttive con fan traditi ed estimatori convinti. 
Inoltre, design a parte, nessuno dei capi saldi della Ducati fu toccato, proprio per non snaturare troppo la tradizione: rimasero invariati i motori, la frizione a secco, la distribuzione desmodromica e il telaio a traliccio. Unico vero peccato, l'adozione del forcellone bibraccio per la 999.
Potete dire qualsiasi cosa sulla Ducati di Terblanche e Minoli, bella o brutta che sia, ma non che quelle moto non furono fatte con una passione da veri ducatisti.

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