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Yamaha YZF-R7: vita breve ma gloria eterna

La race-replica stradale dei primi anni 2000 era una moto esclusiva e costosissima, protagonista di un enorme scandalo in SBK

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Yamaha ha sempre realizzato ottime moto sportive, è nel suo DNA, ma delle volte si è davvero superata realizzando mezzi omologati per l'utilizzo stradale pensati unicamente per la pista come la R7, senza dubbio la massima espressione raggiunta dai tecnici di Iwata in termini di race-replica. Fu una moto dalla carriera cortissima e dalla tiratura limitata, costruita con l'unico scopo di raggiungere l'omologazione al campionato Superbike.


Yamaha aveva deciso di vincere il mondiale SBK


La sigla completa del progetto è YZF-R7 OW02, dove OW identifica le moto realizzate dal reparto corse, differenziandole dalla produzione di serie in catena. La prima della dinastia, fu la FZR 750 R OW01, nata nel 1989 per contrastare la gloriosa Honda RC30, ma senza ottenere grandi risultati. 
Il secondo tentativo di sconfiggere Honda e Ducati nelle derivate di serie è arrivato nel 1999 con la presentazione internazionale della R7, una moto all'apparenza "normale" ma che nascondeva quote da vera racer e componentistica pregiata, oltre che un prezzo stratosferico di 50 milioni di lire e una tiratura limitata a soli 500 esemplari, quelli necessari per l'iscrizione al mondiale.
L'estetica della versione stradale non era così rivoluzionario. Si rifaceva all'aerodinamica della R1, ma con forme leggermente diverse e fari anteriori di dimensioni inferiori. Dietro il faro non era sul codone ma agganciato al portatarga removibile, un altro accorgimento per avere una moto pronto-pista a tutti gli effetti. La colorazione bianco-rosso-nero era quella ufficiale delle moto da gara Yamaha di quegli anni ed era semplicemente spettacolare, così come le sospensioni Ohlins, il telaio a passo corto (1400 mm) completamente regolabile nelle quote e la moltitudine di particolari lavorati CNC.


La versione stradale era "tappata"


I dati di mercato non contano, in questo caso. Vi basta sapere che gli esemplari sono stati venduti tutti anche se in tempi non così brevi. La moto stradale era tanto raffinata quanto "tappata", con il motore 4 cilindri da 749 cc e 5 valvole per cilindro (un marchio di fabbrica per la Yamaha dell'epoca) dalla potenza massima di soli 106 CV a 11.000 g/min.
Se pensiamo alla concorrenza, una coeva Kawasaki ZX-7R poteva erogare 126 CV, ma purtroppo l'omologazione TUV non è riuscita fare di meglio. Senza limitazioni obbligate, la R7 riusciva a erogare 138 CV, un valore decisamente più in linea con il tipo di moto e con la sua esclusività. Inoltre una preparazione non troppo complessa consentiva di "sbloccare" completamente il motore per l'uso in pista, riuscendo a raggiungere la potenza di circa 170 CV, che per l'epoca era quella di una moto privata iscritta al mondiale. Se consideriamo, inoltre, i soli 176 kg della moto, il tutto acquista una dimensione parecchio più allettante.


Quando Haga perse il mondiale per una squalifica ingiusta 


La gloria di questo modello, quella che ora la rende una delle SBK degli anni d'oro più ricercate dai collezionisti, è legata a Noriyuki Haga, il pilota giapponese che con questa moto fece numeri da circo e sfiorò il titolo mondiale del 2000, arrivando secondo e perdendolo per colpa di una squalifica all'ultima gara per doping. 
Questa vicenda è davvero interessante, perchè ancora avvolta parzialmente nel mistero. In un controllo a sorpresa, Nori è stato trovato con una quantità di efedrina superiore al consentito. L'efedrina è una sostanza eccitante che viene utilizzata spesso in campo medico ed è estratta da alcuni tipi di piante. Uno dei medicinali di uso comune che ne contiene di più è lo spray nasale, quello che si utilizza per stappare le narici quando si ha il raffreddore, e quello che secondo la squadra ha causato l'alterazione dei valori di Haga e ha portato alla squalifica. 
La Gazzetta dello Sport di quei giorni ha riportato un'intervista all'allora direttore tecnico della squadra Davide Brivio: "Haga non riesce a darsi pace per quanto è successo. Durante l' inverno ha assunto medicinali per dimagrire, che contengono questa sostanza, e prima della gara di Kyalami aveva curato un raffreddore. In entrambi i casi con medicinali giapponesi: stiamo cercando di capire cosa sia successo."
Yamaha andò su tutte le furie e minacciò la FIM di ritirare tutte le sue moto da tutti i campionati in cui era impegnata, compreso il Motomondiale, se non fosse subito stata revocata la squalifica. Così fu, e Nori potè correre la 8 Ore di Suzuka senza problemi, ma ormai il mondiale SBK era finito e perso per sempre. Nori passò in 500 con scarsi risultato nel 2001, e nel 2002 tornò in SBK ma con l'Aprilia. La R7 fu definitivamente fuori dai giochi dopo il titolo sfumato nel 2000 e fece solo qualche altra comparsata da wild card negli anni seguenti. Tutti gli sforzi economici di Yamaha erano sul progetto MotoGP e non c'era più spazio per la SBK. La moto venne ufficialmente ritirata dal mercato nel 2002.


Per averne una dovrete sborsare una marea di soldi


Tre anni di gloria sul mercato e uno solo nel mondiale SBK, troppo poco per una moto di questo livello ma abbastanza per essere un mito assoluto per tutti gli appassionati. Sarà per la guida estrema di NitroNori che ce la ricordiamo così bene, sarà per quell'aura di esclusività e perfezione che la circondava, ma al momento è una moto bramata da tantissimi nostalgici.
Nell'usato è tutt'altro che svalutata. Se siete fortunati, potrete trovare qualche esemplare con pochi chilometri e mai pista a prezzi compresi fra i 20.000 e 30.000 euro, cifre addirittura superiori al prezzo d'acquisto dell'epoca, già esorbitante. È questo il valore della storia, per alcuni un investimento concreto, dato che nei prossimi anni il valore tenderà a salire vertiginosamente.


 

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