Tu sei qui

MotoGP, Brivio: "Ormai lo sport è un pretesto per attirare il pubblico"

"Non bisogna scandalizzarsi, succede in tutti gli sport: il gesto atletico serve a riunire le persone, offrendo loro il più possibile. Per Trackhouse è stato facile convincermi a tornare. Essere in un team ufficiale o in uno satellite non cambia il mio lavoro"

MotoGP: Brivio:

Davide Brivio è tornato a casa. Vestito con i colori del team Trackhouse nella paddock di Losail salutava i tanti vecchi amici che aveva lasciato 3 anni fa, quando aveva accettato l’offerta di Alpine in Formula 1. Le due ruote, però, erano sempre rimaste nel suo cuore e quando Justin Marks lo ha chiamato per gestire il suo nuovo team in MotoGP, Brivio non ci ha pensato troppo prima di dirgli sì.

Davide, qual è stato la sensazione di tornare in questo paddock?
Ho avuto una bellissima accoglienza da parte di tutti, qualsiasi persona che incontri mi dà il bentornato, è qualcosa che fa piacere a livello personale”.

In cuor tuo sapevi che saresti tornato un giorno a lavorare in questo paddock?
Non avevo lasciato la MotoGP perché fossi stanco o non mi piacesse più, anzi mi divertivo molto. C’era stata questa chiamata in Formula 1 ed ero curioso di vedere e capire come funzionasse un team in quel campionato. Mi è sempre piaciuto guardarmi in giro, parlo anche dei Rally, del Motocross, della NBA, della Nascar. Ovviamente la F1 è sempre stata un fonte di ispirazione, un riferimento, quindi mi stimolava molto farne parte. È stata una grande opportunità di cui ringrazio Alpine, ma ho sempre continuato a seguire la MotoGP”.

Cosa ti ha convinto ad accettare questa nuova avventura con Trackhouse?
Avevo lasciato Alpine anche per vedere se sarebbero nate delle opportunità durante l’anno, non mi aspettavo che arrivasse questa così presto”.

Il fatto che la chiamata arrivasse da un team satellite non ti ha fatto dubitare?
Forse ha vinto la voglia di tornare, c’era un’opportunità e l’ho presa. Trackhouse ha avuto vita facile perché sono sempre stato affascinato dal mondo e dagli sport americani, ho sempre seguito il Supercross e la NBA. A parte questo, è un team indipendente ma mi sembra un bel progetto. Ho un rapporto diretto con Justin (Marks, il proprietario del team ndr), c’è disponibilità nel provare nuove idee e mi piace questo mentalità”.

La mentalità americana è molto diversa da quella europea, sta a te trovare un punto di incontro?
Trackhouse è un team che corre nel campionato Nascar, è una società che vive di corse, hanno una grande conoscenza del mondo racing ma non della MotoGP. Quello che stiamo cercando di fare è raccontare loro com’è, hanno voglia di conoscerla”.

Il lavoro in un team satellite è diverso da quello a cui eri abituato?
Io non sono un tecnico e per quanto riguarda il mio ruolo di gestore delle risorse, umane, finanziare e logistiche, essere in un team ufficiale o essere in un team satellite è esattamente la stessa cosa. Non vedo una grande differenza tra Trackhouse e un team ufficiale di quelli che sono ora sullo schieramento nella gestione in pista, se togli l’aspetto tecnico. Cercare di assicurarsi le persone migliori, i piloti, migliorare su marketing e comunicazione: il lavoro è sempre quello”.

Ti sei prefissato dei traguardi?
Personalmente non ho un obiettivo numerico, come arrivare nei primi X o vincere una gara, ma quello di iniziare e proseguire in un processo di crescita per diventare uno dei migliori team della MotoGP. I risultati in pista sono una conseguenza. In questo momento è il processo che ci deve portare da qualche parte, non il pensiero di un risultato.

Anche Aprilia sembra conti molto su Trackhouse, Oliveira ha già la moto ufficiale e nel corso della stagione arriverà anche a Fernandez.
Una cosa che va apprezzata e sottolineata è che Trackhouse, ancora prima di iniziare, aveva chiesto ad Aprilia le moto 2024, Raul l’avrà più tardi solo per questione di tempi. A livello finanziario è stato uno sforzo in più, ma non ha mai dubitato di volerlo fare ed è il segnale più importante della voglia di fare bene. Credo che Aprilia sia una grande partner in questo momento: la moto sta crescendo molto, c’è un grande lavoro di sviluppo e dal punto di vista aerodinamico è fonte di ispirazione… anche per altri (sorride)”.

In MotoGP hai sempre lavorato con i giapponesi, Yamaha prima e Suzuki dopo, com’è farlo con gli italiani?
Sembra pazzesco, ma è la mia prima volta nelle corse con un’azienda italiana. Però prima di tutto lavoro con gli americani, quindi dal Giappone sono passato agli USA…. rimango sempre all’estero (ride)”.

Non sei stato via molto dalla MotoGP, l’hai comunque trovata cambiata al tuo ritorno?
Non tanto dal punto di viste delle persone o della mentalità, quanto dal punto di vista tecnologico perché le moto si sono evolute molto. Non direi che è cambiata tanto e forse è il momento di fare qualcosa.

Come ha fatto la Formula 1 nel suo recente passato. È l’esempio da seguire?
Bisognerebbe sempre e costantemente puntare al miglioramento. Guardare alla F1 va benissimo, può essere una fonte di ispirazione per alcune cose, ma non bisogna fare un copia e incolla, quello non funziona. Bisogna farsi venire delle idee e per riuscirci non bisogna limitarsi alla F1, ma guarare al calcio, al golf, al tennis, a tanti sport diversi. Nell’era moderna, lo sport -che ci piaccia o no - è mosso dal business. A noi appassionati piace parlare di piloti e prestazioni, ma dobbiamo essere consapevoli - e non scandalizzarci - che tutto questo deve essere sostenibile, quindi devono esserci delle aziende disposte a investire, spettatori che vengono alle gare, tv interessate. Tutto questo ci serve per continuare a fare il nostro sport e dobbiamo cercare di favorirlo il più possibile”.

Tu avresti delle soluzioni?
Non ho un’idea particolare, però credo che adesso sia molto importante avvicinare sempre più il pubblico. Devi essere tu ad andare incontro al pubblico e non aspettare che arrivi, per esempio si possono organizzare delle fan zone, avere una maggiore apertura generale. Dobbiamo sempre pensare che il pubblico è eterogeneo, non c’è solo lo smanettone che conosce ogni dettaglio, ma anche il suo amico che è venuto per fargli compagnia e non sa nemmeno che numero abbia Bagnaia. Una delle mille cose da fare è organizzare delle attività che intrattengano gli spettatori. Una partita di calcio non sono solo i 90 di gioco, ci sono le lounge, le varie attività prima e dopo, in F1 fanno concerti il sabato sera, la NBA è una festa per famiglie con locali e ristoranti

Non basta più lo spettacolo in pista?
Ogni sport ha la sue caratteristiche, bisogna capire come renderlo interessante anche al di fuori, nel nostro caso, dei 45 minuti della gara e dei 25 della Sprint. Può essere una partita di calcio o di basket, una gara di F1 o di MotoGP, il gesto sportivo è diventato un pretesto per riunire le persone e una volta che riesci a farlo, devi offrire loro il più possibile. Questo non è facile, bisogna essere creativi. Mi sembra che anche in MotoGP ci stiano provando”.

Articoli che potrebbero interessarti